Questo post nasce da una recente riflessione di Claudia… sì, la mitica Claudia Dallabona dell’interessantissima rubrica Viaggiare Leggeri sul blog il pasto nudo. Claudia, italianissima, con venature tedesche (per indole e per esperienza vissuta sul Mar Baltico; la mia “culla”), per ora è trapiantata a Johannesburg, dove vive e sperimenta un altro pezzo del nostro grande mondo. Pensa e ripensa, gentilmente ha accettato di scrivere anche nel mio locus virtuale.
Innanzitutto grazie a Sabine, che mi ha aperto la porta di questo bellissimo luogo, regalandomi la possibilità di condividere con voi alcune idee che pernottano da qualche settimana nella mia mente.
Sono ritornata da poco a “casa” (no, anche se hanno detto “welcome home”, al controllo passaporti dell’aeroporto, ancora non me la sento di scriverlo senza virgolette ;-)), dopo aver trascorso un mese in Italia. Proprio all’aeroporto di Monaco mi è saltato tra le mani un giornale, Praxis:Natur. E un articolo: Keine ruhige Minute (= neanche un minuto di calma).
La giornalista, Isabell C. Krone, racconta di una donna, Carmen, organizzatrice di eventi per una importante agenzia. È una storia apparentemente normale, quotidiana. Carmen è sempre accesa. Sempre raggiungibile (ai clienti, naturalmente, non piace aspettare, quando hanno domande o problemi da risolvere).
Non ha più tempo per vedere i suoi amici. In compenso ne ha 500, in Facebook, e twitta regolarmente, in modo che almeno sappiano cosa sta facendo. Inizia la sua giornata collegandosi ad Internet mentre è ancora a letto, guarda cosa hanno fatto i suoi amici e scarica le mail. Quando esce per divertirsi ha comunque sempre con sé il cellulare, al quale risponde e col quale può collegarsi in internet.
Da qualche tempo dorme male. Certe volte riesce a dormire solo dopo che ha controllato per l’ennesima volta se ci sono messaggi, se qualcuno le ha risposto o fatto delle domande. Spesso si sveglia con la paura di essersi dimenticata qualcosa. Durante il giorno, la pessima qualità del suo riposo la porta ad essere più nervosa del solito. E questo innesca il loop diabolico, perché la rende insicura e confusa, ed aumenta la necessità di utilizzare ogni minuto libero per controllare e ricontrollare facebook, posta e messaggi vari.
Questa è la storia. Che mi ha obbligata a fermarmi, staccare tutto e riflettere (stranamente, proprio nel momento in cui l’intera città era alle prese con enormi problemi di connessione ad internet ed io altrettanti gastroenterici. Nulla succede per caso ;-)).
Non voglio fare la Savonarola de noartri. Anch’io, come molti, cado nella trappola della visibilità, del labile confine pubblico/privato, dell’esternazione indifferenziata. Continuo a chiedermi quando abbiamo smesso di porre limiti. Confini. Confini di spazio e di tempo.
Prima di tutto, il confine tra lavoro e vita privata. Gioia del capitalismo, la chiama ironicamente un amico di qua. Non ti devono nemmeno più obbligare a staccare. Nemmeno in pausa pranzo (una volta, quando lavoravo in Italia, mi era vietato mangiare in ufficio e/o davanti al computer, perché “bisogna staccare, dice la legge”. Ed ero il capoufficio, per dire ;-)).
Ma soprattutto il confine tra vita privata e pubblica.
Mi sembra che la maggior parte della gente, in Italia, non abbia una vita privata. Che tutto sia pubblico. Tutto su un blog, su twitter, su facebook. Tutto davanti ad uno schermo blu. Tutti devono sapere come sto stamattina, cosa ho mangiato ieri a cena, cosa dice mia figlia di 6 anni che, chiaramente — come tutti i figli di chi è in facebook o ha un blog — è un genio, fa disegni meravigliosi e dice battute che in confronto i fratelli Marx eran dei cabarettisti di quart’ordine.
Come fa uno che in facebook ha 500 amici ad ascoltarli tutti? Lo usa come un palcoscenico, come un enorme megafono. Il punto è che tutti hanno un megafono in mano e parlano, ma quanti ascoltano? Non si può, nemmeno volendo, ascoltare con attenzione tutto quello che dicono quotidianamente 500 persone.
Mi sembra una nazione di attori che non riescono più a scendere dal palco, ormai dipendenti dagli applausi e dai “mi piace” del pubblico (sì, perché c’è solo l’opzione “mi piace”, con tutto ciò che comporta — vedi non accettazione delle critiche, per dirne una). Un one-man show, una maratona di 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno a dire chissà quali verità ad un mondo di adulanti ascoltatori.
A parte l’enorme perdita di tempo, che magari si potrebbe impiegare in modi un filo più costruttivi. Una sorta di elogio della procrastinazione.
Ci sarebbero, poi, le conseguenze di questo stress continuo e prolungato sul nostro sistema digestivo, sullo stomaco, sul fegato, sulle ghiandole surrenali. Magari ci preoccupiamo dell’effetto sul nostro corpo della paura che hanno avuto gli animali mentre venivano portati al macello e uccisi (con tutto il rispetto, che son quasi vegetariana e la sento anch’io), ma non ci rendiamo conto che la dipendenza dalla comunicazione (c’è anche un nome, per questo: nomofobìa, paura di stare senza cellulare; anche se mi sembra più una dipendenza) porta effetti negativi centinaia di volte maggiori.
Ma per questo c’è Sabine. ;-)
E, poi, il cellulare. Che fa le foto, che si collega a internet, con cui scarichi la posta. Tutto *mentre*.
Sono in treno, attraverso paesaggi. Ma non penso. Non scrivo riflessioni private, per poi rifletterci. Non sto *dentro*. No. Scatto una foto col cellulare, scrivo dove sono, con chi, come mi sento. Mi sto gustando una colazione coi fiocchi, appena alzata, magari in una pensioncina persa nel nulla. La fotografo e la faccio vedere a 200 persone in diretta. Tutte lì, che mangiano con me.
Ecco, a me questo horror vacui, questa paura di stare da soli con le proprie emozioni, mi ha fatto un’impressione che non vi potete immaginare. Forse perché gli ultimi anni li ho trascorsi in una cittadina dell’ex DDR sul Mar Baltico. Ed ho recuperato ritmi e spazi perduti. O perché non vivo in Italia.
Non è che rimpiango le file alle uniche due cabine telefoniche nell’atrio dell’università. È una fortuna avere un cellulare in borsa. Non si sa mai.
Ma quante volte, mi sono chiesta durante queste vacanze, non possiamo aspettare? Cosa succede se qualcuno mi chiama ed io sto facendo la spesa e non rispondo? Come vivevo quando avevo vent’anni, senza cellulare? A me non sembra di ricordare grandi catastrofi dovute all’assenza di rete.
*Mentre* si prendono i figli a scuola e *mentre* si passeggia sul lungolago. *Mentre* si mangia una pizza con gli amici, e pure ad alta voce (a proposito, qui c’è un ristorante — pare più di uno, in realtà – dove i cellulari sono vietati. Guardate un po’, lo scrivono perfino in fondo ad ogni pagina del menu ;-)).
Questo *mentre* mi inquieta. Mi hanno detto che noi donne siamo multitasking, che facciamo mille cose contemporaneamente. No, mi spiace. Vivo molto meglio facendone una alla volta, senza mentre. E, preferibilmente, dal vero. ;-)
Post scriptum (di Sabine):
Per certi versi il mondo virtuale assomiglia ad un incredibile labirinto senza via di uscita! Sicuramente trattasi di un esperimento umano su grande scala. In origine volevo aggiungere alcune considerazioni mediche su questo scottante tema… ma sarebbe troppo lungo e rimando quindi ad una seconda puntata.
Intanto ci farebbe molto piacere leggere la vostra opinione personale :-)
che dire? non uso facebook né twitter, anche il figlio adolescente è immune dal contagio, ho solo frequentato un social femminile, ma sono scappata presto, perchè mi è sembrato un posto dove tutto si consuma in fretta, parole e stati d’animo.
Vite passate a digitare la realtà come se solo così fosse reale, forse è un modo per sentirsi parte di qualcosa, meno soli, può anche essere piacevole, a volte, come le chiacchiere dal parrucchiere, ma è troppo rumoroso, veloce, inconsistente.
A volte penso che sono io ad avere tendenze asociali e orsesche,
ma quando a far la spesa la gente parla nei telefonini come nel salotto di casa, mi sembra di essere costretta ad ascoltare fatti e parole che dovrebbero essere privati.
Trovo internet una fonte fantastica e pressochè inesauribile di informazioni, idee, condivisone, ma come insegnano Sabine e Paracelso… “è la dose che fa il veleno”
Grazie Claudia per le tue interessanti riflessioni… e sono con te, per una vita dal vivo, senza “mentre”, e poco alla volta :-)
Grazie Claudia delle tue sagge riflessioni del tutto sottoscrivibili, e sempre grazie, Sabine cara, del tuo importante lavoro di educazione alla salute e alla prevenzione.
Le elettro-protesi modernissime con cui possiamo connetterci a distanza planetaria in tempo reale, sono apparecchi fantastici costruiti con speciali metalli e minerali estratti da schiavi minatori di tutte le età, prevalentemente bambini del terzo mondo: mi sento meglio a possederne il minimo, usarle poco in modo cauto e accurato per farle durare di più e farne produrre e vendere il meno possibile. Conviene tenerle lontano dal corpo almeno 1 metro quando non le si usa, per ridurre la costante interferenza che i nostri sistemi vibrazionali vitali devono ‘sopportare’ e compensare, con i campi ed onde elettromagnetici generati e trasmessi dai magici apparecchietti…
Quanto alle nostre fragilità, la lotta di ogni essere umano per affrancarci dalle dipendenze superflue si attua con la decisione coraggiosa e rinnovata di accogliere ogni volta alla luce della coscienza NON giudicante, osservare e interrogare le nostre ansie e paure per conoscere la verità dentro di noi, qualunque essa sia, con la certezza che sotto a qualsivoglia strato di disarmonia e distorsione della forza vitale, al centro di ogni individuo si trova la luce incontaminata e incorruttibile dell’Essere e il calore dell’Amore incondizionato per la vita.
Grazie alla scelta di stanare dall’inconscio ‘i pianti già pianti’ ( Shakspeare, sonetti) e di sopportare di rivivere gli antichi dolori già vissuti, per accettarli e perdonarli e liberarcene, possiamo purificarci dal ricordo condizionante del passato, semplicemente esponendolo all’auto-osservazione di noi stessi e delle nostre emozioni; possiamo vivere il presente reale, cioè la Presenza in connessione ( dal profondo, senza tablets e affini;) alla divina ispirazione, che informa e armonizza la vita rendendoci ‘svegli’, recettivi e intuitivi, consci dei nostri sentimenti e dei bisogni che li generano, curiosi di conoscere e comprendere i sentimenti e i bisogni altrui.
Su questi temi importanti e pratici, ho letto due piccoli libri possenti:
ZERO LIMITS di Joe Vitale ed. Il punto d’incontro
IL LIBRO DI DRACO DAATSON di Salvatore Brizzi , ed. Anrtopodue
ho trovato chiarezza e strumenti in
LE SORPRENDENTI FUNZIONI DELLA RABBIA di Marshal Rosemberg, ed. Esserci
e ho trovato immensa forza consolatrice in un libro che già solo a tenerlo con sè, in mano o nella borsa, offre persistente protezione e sicurezza:
FORTE E’ LA DONNA della grande antropologa Clarissa Pinkola Estès ormai settantenne, ed.Frassinelli
Grazie di aver letto e dell’opportunità di condividere in questo bellissimo sito di Sabine Eck, uno fra gli spazi virtuali davvero concreti e nutrienti ;D marcella brizzi
1) Come si fa a controllare l’e-mail quando ti sei appena alzato/a? A me verrebbe un’infiammazione agli occhi destinata a durare tutto il giorno.
2) Tua figlia è in effetti un genio
3) Durante il mio anno e mezzo in viaggio è stato piacevole rimanere per lunghi periodi senza collegamenti alcuni. Mi sono reso conto di quanto più tempo avessi per me stesso. Ma non solo: io sono dipendente da notizie e attualità. Un po’ alla volta, collegandomi sempre più raramente, mi sono accorto di come in realtà, quella della “novità” fosse solo un’illusione. Dopo un po’ mi sono accorto che anche se mi collegavo dopo una settimana o due, si parlava sempre delle stesse cose, o quasi (ecco, c’è stato anche un punto in cui dopo una settimana ho scoperto che Berlusconi non era più il pres del cons).
Per concludere, io penso che sia sempre necessario usare la misura, anche nell’usare la misura. Secondo me va bene essere quasi sempre connessi. L’importante è concedersi dei momenti di indulgenza. Ad esempio proibirsi con metodicità di portarsi il telefono o qualsiasi cosa internettabile in ferie, o semplicemente in autobus, in treno o in bagno.
E’ una vita che predico in casa tutto questo, chiaramente in termini più terra terra. E non voglio per nulla demonizzare niente, perchè tutto usato nei giusti termini può servire.La mia esperienza parte dall’essere nipote di nonne lontane, questo mi ha insegnato(negli anni 60) a scrivere alla nonna, aspettare la risposta e nel frattempo gustarmi la mia vita nei giorni che intercorrevano, ho imparato una cosa che vedo ora sconosciuta”l’arte dell’aspettare”, questo mi ha preparata a costruire la mia vita con calma e anche aspettando il tempo giusto, senza ansia;le amiche da vedere solo dopo i compiti senza nel frattempo messaggiare.Ho fatto di tutto in questi anni nell’arginare questa senzazione del tutto subito anche il comunicare, che poi è una falsità.Vi racconto una cosa, ho incontrato a casa un’amica della mia ultima figlia e con lei ho commentato un post che aveva messo su FB, bene, sono stata ripresa, non erano fatti miei, ma come, ho detto, scusa hai un profilo pubblico cioè tutto quello che posti è di proprietà di tutti, e allora?Non andava bene perchè quello che io avevo letto era una faccia non vera della ragazzina un espressione che solo in quel luogo FB aveva vita, detto fuori lei si sentiva a disagio e non voleva parlarne.Capito?Ho avuto paura di avere davanti a me una generazione con una testolina poco autonoma e sono ragazzi intelligentissimi.Peccato.
@Rossella: ma sai che hai aggiunto una riflessione che avevo fatto anch’io (poi cancellata, perche’ gia’ e’ un papiro chilometrico…)?: e cioe’ il fatto di essere obbligati ad ascoltare i fatti privati degli altri, anche non volendo. A Trento ero in un bar, e ad un certo punto una signora al tavolo a fianco ha risposto ad una chiamata al cellulare. Con un tono di voce altissimo che davvero non potevo ignorare (oltre ad impedirmi di continuare la mia, di conversazione). “Dove finisce la tua liberta’ di urlare e dove inizia la mia di non dover ascoltare i tuoi fatti privati?” – mi son chiesta.
Per non dire che, se io fossi la commessa del supermercato e tu rispondi al cellulare proprio mentre ti sto chiedendo quanti etti di formaggio vuoi, io schiaccio il numero del cliente successivo senza remora alcuna. Lo so, son tremenda… ;-))
Grazie mille, Marcella. Il tuo commento e’ denso di spunti di riflessione. Adesso mi segno i libri! (conosco la Pinkola Estes per il suo famoso “Donne che corrono coi lupi”, ma solo per il titolo questo mi sembra propiziatore di energie positive!). Grazie ancora.
eccomi qui. una cosa così io mi sento chiamata assolutamente in causa. perché ho uno smartphone, un blog e un account facebook. e sì, in alcune righe più sopra mi sono rivista. ma non immedesimata (poi magari è uno scherzo della mente che mente e non vuol farmi vedere determinate cose).
uso facebook in gran parte per restare in contatto con amici e amiche lontane (Claudia inclusa!), ma per lo più gli dò la stessa funzione che ha il mio blog, una sorta di diario, di taccuino in cui annoto momenti, cambiamenti, gioie, dolori, aforismi, fotografie (tante fotografie, ho lo scatto facile, mi piace immortalare l’attimo anche e soprattutto se si tratta di una piccola gioia del quotidiano. è che io di momenti così in una giornata son capace (ora) di trovarne millemila. mi basta anche solo l’arrivo della moka elettrica in ufficio per gustarmi il caffé di cicoria. e la vedo subito come una piccola gioia da ‘fermare’.
ora, perché la mia gioia debba esser resa pubblica nel mio caso, me lo spiego solo così: mi piace l’idea di passare agli altri il messaggio: sono una persona felice (con poco). l’ho imparato (e se volete potete impararlo anche voi).
poi c’è da dire che facebook, per chi ci sa smanettare e sta attento, ha delle impostazioni privacy pazzesche, ergo la mia foto può esser che la vedano in 4 gatti (lista amici ristretti) e non il mondo intero. questione di filtri. scelgo di condividere la mia vita con chi voglio, anche se solo in forma virtuale.
e poi so quando dire basta. e/o ridurre i momenti di connettività. se la sera sono stanca o la voglio trascorrere al telefono con un’amica. o se voglio andare sul divano e leggermi un libro. se voglio giocare con mio figlio a backgammon. il troppo stroppia, sempre. e quando mi accorgo che sto avvicinandomi alla soglia di pericolosità, mi ridimensiono. (almeno credo ;) )
grazie a Claudia <3 per lo spunto di riflessione e a Sabine che la ospita.
un abbraccio ad entrambe.
dimenticavo : facebook ha delle splendide opzioni di gestione anche in ‘entrata’. siamo noi che possiamo scegliere quali aggiornamenti di stato e da parte di chi li vogliamo ricevere. se non vogliamo leggere i fatti altrui o tutti i fatti altrui, lo possiamo fare.
Diciamo che condivido in parte il pensiero della sig.ra Claudia che sono andata a sbirciare su fb ed ho notato che anche lei ha quasi 100 amici, se 500 sono moltissimi quasi 100 non scherzano, credo che dipenda dall’uso che si faccia di fb o twitter da quali limiti e da quali confini ci si debba assolutamente dare specialmente se parliamo di adolescenti. Così il cellulare smartphone o I-phone che sia sono strumenti meravigliosi se usati nei modi e nei tempi giusti….
Anch’io sono su fb e non so nemmeno quante amici ho perchè uso fb come mezzo strumento come scambio di info vedi la recente campagna elettorale con il movimento 5 stelle…nella realtà vera di AMICHI/E come intendo io ne ho 5 e mi pare già un gran numero…
Mentre sono molto curiosa di sapere le considerazioni mediche della dott.ssa Eck
Sempre grazie Elisa Braga
Sono d’accordo con tutto cio’ che hai scritto (tranne, naturalmente, la genialita’ di mia figlia…o lo dici perche’ hai capito che le sei simpatico, eh eh). Se la gente iniziasse a non usare internet in ferie o sui mezzi di trasporto (in bagno spero che siano pochi) penso che sarebbe una rivoluzione! Non e’ che rimpiango i rullini da 12 (o 24, dai) per due settimane di ferie, come quando ero piccola io, ma insomma, certe volte mi ritrovo amici che mettono 54 foto per un fine settimana a Venezia. Anche la capacita’ di scelta va coltivata ;-)
Sull’arte dell’attesa sto cercando di educare anche la mia, di figlia, che ha 7 anni e vorrebbe tutto subito sempre! (bel titolo, tra l’atro…”l’arte dell’attesa”, dopo vado a cercare se qualcuno l’ha gia’ usato per qualche libro ;-))
Sarebbe bello anche scoprire se la vera “faccia della ragazzina” non sia per caso quella su facebook…molto piu’ libera dai controlli genitoriali o degli adulti in genere
Quando racconto ai miei figli della mia infanzia e poi gioventù, parlo sempre dell’arte dell’attesa, era un tempo che per forza di cose ti portava a dover aspettare,non c’erano i mezzi odierni(mi viene da ridere ho solo 54 anni e mi sembra di parlare come del paleolitico) e questo educava la mente e il corpo, inoltre non avendo il telefonino, bisognava cavarsela da soli nelle difficoltà, non c’era mamma o papà che in un nanosecondo erano pronti, raggiungibili e fruibili in tutto, noi imparavamo a conoscere le nostre capacità perchè ci servivano a uscire dai problemi del momento.Non demonizzo la tecnologia, l’importante, dico io, è saperla usare e saperne all’occorrenza farne a meno.Per quanto riguarda l’amica di mia figlia, credo proprio di no, vedo che è un’abitudine di molti scrivere su FB di tutto e di più, come una valvola di sfogo, ma poi non volerne parlare di persona.Sono io anacronistica che amo ancora parlare e scrivere senza abbreviare.
Guarda, se vuoi te lo confermo io, che non sei dipendente da collegamento alcuno, visto che hai trascorso due-giorni-due a casa mia e non ti sei mai collegata (e non hai nemmeno fotografato l’insalata che ti ho preparato per postarla in tempo reale su facebook, vergogna! :-DD). E devo dire che, seppure molto attiva nel pubblicare commenti ed altro, hai un merito che nessuno puo’ negare: mai una lamentela, mai negativa, sempre a dimostrare, e’ vero, come la vita vada presa con ottimismo e fiducia, anche nei momenti meno facili. L’unico dubbio, per me, resta sempre sulla quantita’, perche’ temo che, mettendo 30 commenti in un giorno, molti vadano persi o se ne sminuisca il valore. (Un po’ come uno che parla molto, che dopo un po’ nessuno lo ascolta. Autocriticissima, sto cercando di imparare ;-)).
@Elisa: forse ti sei persa una frase del mio articolo, te la ricopio:
“Non voglio fare la Savonarola de noartri. Anch’io, come molti, cado nella trappola della visibilità, del labile confine pubblico/privato, dell’esternazione indifferenziata. Continuo a chiedermi quando abbiamo smesso di porre limiti.”
Come puoi leggere, ho scritto “abbiamo”, non “avete” ;-))
Facebook, cosi’ come internet, e’ affascinante anche per l’enorme differenza e varieta’ di modi di utilizzo. Per esempio, io – come giustamente ti sei presa la briga di controllare – ho 99 amici. A differenza tua, li conosco tutti personalmente (ok, tranne 3 o 4, ma mi sto organizzando, che da qui in Sudafrica faccio fatica ;-)). 56 dei quali (li ho appena contati) sono entrati in facebook molto tempo fa e ne sono rimasti delusi. O comunque indifferenti. Non hanno cancellato l’account, ma non scrivono nulla, mai. Uno, caro amico dei tempi dell’universita’, e’ morto. Il suo account e’ disattivato ma compare ancora nella mia lista di amici. Prima o poi mi decidero’ a “nasconderlo” (come mi suggerisce facebook); adesso non so, e’ anora troppo presto. Parecchi usano facebook solo come una chat per comunicare con me in tempo reale, visto le migliaia di chilometri che ci dividono. Mia sorella ci e’ entrata il mese scorso e dopo due giorni mi ha detto che per lei era una boiata e non ci entrera’ piu’ (ma compare ancora nei 99).
Ne restano 43. Ho vissuto in Italia, in Germania ed ora qui. Molti dei miei amici “veri” sono in giro per il mondo come me. Non tutti scrivono quotidianamente. Alcuni magari solo una volta al mese, o meno. O stanno mesi senza scrivere, ma leggono quello che scrivo io. No, ti assicuro, non e’ per niente difficile tenere i contatti attraverso facebook. E’, per me, uno strumento potente per sapere come crescono i loro bambini, vedere qualche foto ogni tanto e sentirli ancora vicini nonostante un mondo ci separi. O anche solo perche’ mi mettono qualche notizia di fatti accaduti nei posti in cui ho vissuto (Italia compresa) tratte da fonti alternative, che sui giornali magari la stampa ignora (o ci “traduce” a suo modo ;-)). Scrivendo con moltissima parsimonia, posso leggere con calma tutto (una frase ogni tre mesi ce la faccio…). Poi ci sono anche due o tre che scrivono tantissimo, e naturalmente mi perdo 3/4 di cio’ che pubblicano. Ma non li definirei “amici”, ma piu’ giornalisti/comunicatori (vedi Sonia Piscicelli del Pastonudo, per esempio, che abbiamo in comune). In quel caso direi che e’ come essere abbonati ad un quotidiano online, ecco.
Non ti ho scritto questo per giustificarmi, perche’ non ne sento il bisogno, ma proprio per sottolineare come questo mezzo sia potente, e come spesso si possa fraintenderne l’uso, specialmente se ci si basa solo sui numeri (lo spazio del pastonudo o di Sonia, per esempio, credo sia nato con la funzione di comunicare e divulgare i contenuti del blog a piu’ gente possibile, come un giornale, appunto. E non per tenere i contatti con tutti quelli a cui piace). Non c’e’ un modo migliore ed uno peggiore, sono solo diversi. Quello a cui si riferiva la giornalista nell’articolo era quello tipico di una che usa facebook “privatamente” ma ha 500 amici. E’ chiaro che, anche sfrondando come ho fatto io, non e’ umano.
Comunque, concordo con te: anche i miei, di amici veri, si contano sulle dita di una mano. E 3 su 5 (e nessuno dei miei familiari) non sono nemmeno in facebook, pensa te!!
Sono molto interessanti i vostri commenti. Quante facce ha la rete!…
Continuate a raccontare la vostra esperienza/opinione :-)
Personalmente ho delle perplessità e preoccupazioni per i giovani e giovanissimi dove il primo giochino è quel attrezzo dove si spinge i bottoni per sentire i versi degli animali… poi i robot/bambola/caniolino/macchinino a batterie… poi il telecomando della Tv e della play…. il cellulare/i… la rete, le chat, fb, twitter e via dicendo… senza saper spingere la bici con la gomma bucata fino a casa (ovviamente li salvano la mamma/il papa con la macchina!). Sono d’accordo con @Rosanna quando accenna alle sue “piccole prove” di crescita… che non erano “bottoni” da spingere!
Ah, Claudia oggi nel negozio bio in paese ho incontrato una mia carissima amica… e mi ha detto che il tuo articolo è molto interessante! Quindi in questo caso il virtuale ha fatto “macedonia” con il reale… :-))
noooooooooooooo! non ho postato l’insalata!!!! e come ho potuto??? rido e strarido. grazie per i complimentoni sulla positività. e per l’input sulla quantità (work in progress anche lì…)
Se la gente sapesse davvero cos’è facebook….http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-47f24a67-0008-4a89-a6b3-ddab3eff9d5e.html
Complimenti per l’articolo.
Questa “sindrome”, ben sintetizzata dall’espressione “horror vacui”, è la declinazione tecnologica della “società liquida” teorizzata da Bauman, il maggior sociologo vivente.
Per quel che mi riguarda, business strategist 39enne, analista finanziario e amministratore di un blog che, a metà 2012, ha però anche imparato a usare una… trattrice agricola per segare i suoi campi (intendentibus pauca), la mia esperienza mi ha insegnato che il web ha un solo – ripeto: UN SOLO – pregio rispetto alla vita reale: è democratico. Non essendoci “filtri” umani, tutto “è” per quello che “è”. Con un fattore moltiplicativo incredibile.
Così, se sei “intelligente”, diventi incredibilmente “intelligente”.
Se sei “geniale”, diventi incredibilmente “geniale”.
Se sei “idiota”, diventi incredibilmente “idiota”.
Se sei vittima delle social-evaluation-threats (minacce da valutazione sociale), diventi uno strumento degli altri. Ti usano, fino ad ucciderti. Non solo in chiave virtuale, a volte.
Se volete approfondire, siete le benvenute e i benvenuti su “Low Living High Thinking” (www.llht.org). Uno spazio che “accendo” solo ogni tanto.
Ciao e ancora complimenti,
Andrea
Io, come ben sai, ho un figlio di due anni e mezzo che adora giocare a pallone e impastare pane, ma che sa anche sbloccarmi l’iphone. Per dire che ben venga la tecnologia (e questo bellissimo blog che adoro, assieme al Pasto Nudo) e ben vengano i social network. Sono le persone che bene e spesso mi lasciano un po’ (anzi, molto) interdetta. Quelli che fanno la foto alla brioche con il morso e la mettono su Instagram sono quelli che, in mancanza dei social network, avrebbero raccontato i cavoli loro e dei loro vicini di casa al parrucchiere.
Insomma, il bisogno di comunicare è nell’uomo. è il “come” lo si fa, a fare la differenza.
Alice, purtroppo qui i byte scarseggiano, e costan pure un tot al chilo(byte, appunto). Ma appena ho la possibilita’ questa me la guardo di sicuro! Grazie!
Son queste le cose che mi piacciono. Quando internet non rimane sterile, ma serve a conoscere persone in carne ed ossa! Bello!!
Scusa, stavo per risponderti, ma prima ho fatto un giro sul tuo blog e l’ho trovato davvero…strano (l’aggettivo “strano”, per me, e’ sempre l’anticamera di un gran complimento). Un poco difficile per la mia testolina limitata, ma interessante. Solo che adesso non so piu’ cosa volevo scriverti, che sono ancora con la testa di la’ da te. Ma, in fondo, mica sempre bisogna commentare o dire qualcosa a tutti i costi, no?
(premetto che il bimbo di due anni e mezzo che sa sbloccare l’iphone mi ha sconvolta…dovresti venirmi a trovare con lui, qualche volta, che ne ho bisogno! ;-)). A parte gli scherzi, chiaro che son d’accordo quando dici che “non e’ il mezzo”. Il punto che volevo sottolineare, pero’, era un altro: non il “come”, ma il “quanto”. Certo che quelle che tra piazza parrucchiere e pianerottolo non smetton mai di “comunicare” ci son sempre state. Ma non e’ che uno stava tutto il giorno dal parrucchiere o nel negozio del paese. E, comunque, a quanti la raccontava? Uno, due, cinque persone? Adesso e’ proprio quasi ininterrotta, la connessione, e dal pulpito arringano a migliaia di persone alla volta (credendosi star, peraltro). E’ di moooolto amplificato, secondo me, il fenomeno. Poi, chiaro, l’indole e’ indole. Il fisico teorico, qui, manco sa cosa sono, facebook e twitter. E vive benissimo, te lo assicuro (sto imparando) ;-))
Andrea, molto interessante il tuo comment e bello il tuo blog.
L’homo consumens (come dice sempre il grande Baumann) è meta ormai raggiunta; viviamo in un gigante-iper-mercato: consumo ergo sum.
Ma sono anche convinta che le stupende erbacce (vita vera) avranno alla lunga ragione e risaneranno il terreno.
mah.
un bimbo di due anni e mezzo che sa sbloccare l’iphone mi lascia più perplessa di una come me che la foto della brioche col morso su instagram probabilmente ce l’ha anche messa (semplicemente perché amo la fotografia e bloccare l’immagine di quello che per me è stato un momento particolare). con questo non voglio assolutamente giudicare, solo dar voce a una riflessione nata leggendo il commento precedente. dico solo che è sempre questione di punti di vista.
Che un bambino sblocchi l’iphone a 2 aa e mezzo non mi impressiona affatto. I bambini imparano quasi di tutto in un’ attimo purché stimolati adeguatamente. Mio figlio usava a quell’età un trapano di piccole dimensioni con la batteria su pezzi di legno ed era agilissimo…
Importante è che il bambino impari a fare i conti con la *gravità* e il *peso* degli oggetti basic (tavoli, sedie, divano,forchette,cucchiaio,carta,cartone,forbici,porte,scale,…etc)
Osservo sempre di più che molti bambini sono veramente molto agitati… ma completamente imbranati nella capacità di autocontrollo del proprio corpo; stare fermi (!) su una gamba per almeno un minuto, infilare una semplice chiave nella serratura, camminare su un muretto stretto.
Chiunque abbia fatto una camminata in un vero bosco sa che esserci o vederlo in un film/video sono due cose completamente distinte… e un bambino non fa eccezione. Ma purtroppo ci sono bimbi che non conoscono altro che parchetti di città o le spiagge turistiche tristemente arredati con giochi in plastica; e temo che li nasca il rischio delle avventure nel mondo virtuale.
Ma che bella discussione! Quasi meglio dell’articolo da cui ha preso origine….meriterebbe un post a parte (vero, Sabine? ;-)).
Anch’io concordo: i bambini imparano alla velocita’ della luce quello che vedono fare a chi sta loro vicino. Io alla mia il mio cellulare non glielo do nemmeno sotto tortura, che ne ho uno solo e poi se le cade o lo rompe non posso nemmeno sgridarla, perche’ glielo ho permesso io! ;-)
Pero’ ricordo che il primo anno di materna faceva delle foto che per me erano bellissime, quando le prestavo la mia vecchia macchina scassata. E adesso, che ha 7 anni, da quando mi ha vista alla macchina da cucire ha voluto ago e filo e fa di quei lavori che son meglio dei miei. O vuol cucinare, o scrivere degli “articoli”. Per dire. E quando e’ con suo padre vuole sempre che lui le faccia i Raetsel, come dice lei, ossia dei semplici problemini in cui lei deve svolgere delle somme o sottrazioni (come lui fa coi suoi studenti, lei crede ;-)).
Il punto vero e’, come dice Sabine, che ci sia un equilibrio tra il “mentale” ed il “fisico”. Mia figlia era sicuramente squilibrata, perche’ sapeva leggere e scrivere in tre lingue a sei anni, ma poi mi “franava” addosso quando arrivava nel lettone, o non sapeva fare l’asse di equilibrio (anche se ricordo che verso i 5 anni ha provato a contare mentre stava su una gamba, e arrivata al 100 ha smesso perche’ non sapeva che numero dire ;-)), o si perdeva meta’ cibo nel percorso piatto-bocca.
Nell’ultimo anno devo dire che e’ cambiata tantissimo, anche perche’ l’abbiamo un po’ “dirottata” sul piano fisico (tipo una di quelle piante di piselli o pomodori rampicanti a cui si mette un bastone ;-)): qui fanno 3 volte a settimana sport, adesso che e’ in prima, e ora che e’ estate e’ sempre nuoto. Poi una mezz’oretta a settimana fa anche balletto, e la consapevolezza del corpo e’ migliorata molto; le pause sono due, una di venti minuti e una di mezz’ora, ed e’ sempre fuori nel parco della scuola, con le sue amiche a far la ruota o provare a camminare sulle mani. Poi la corda per saltare, o il gioco della settimana…
Anche se non abbiamo tv o computer, voglio dire, era comunque “troppo testa” lo stesso (chissa’ da chi avra’ preso…sto fischiettando). Ma credo che il bello dei bambini, e la fortuna di noi genitori, sia anche la loro capacita’ di adattarsi a nuove abitudini in tempi velocissimi!
@Singlemama: mi sono espressa male: anche io quando cucino qualcosa la posto su instagram o su facebook e non lo trovo né sbagliato né inquietante. è solo una caratteristica umana di condividere quello che si fa. Non ci fossero stati i social, avremmo trovato un altro modo per condividere quello che facciamo per riempire le nostre giornate.
Non ci vedo niente di male.
Come non ci vedo niente di male in un bambino che interagisce con la tecnologia: io facevo lo stesso da bambina, programmando il videoregistratore a mia mamma. Avevo quattro anni e lei quarantatrè, eppure ero io a farlo, districandomi senza problemi con telecomandi nastri ecc. Eppure non sono cresciuta con strane paturnie… o meglio, non più della soglia di tolleranza… :-)
I bambini sono spugne e sta ai genitori saper dosare gli ingredienti con cui stimolarli. Quando vedo i bambini al ristorante rincoglioniti davanti all’Iphone o al tablet, “così non infastidiscono nessuno”, mi viene una gran tristezza. Io preferisco o non portarlo, o scegliere un ristorante con un parco esterno, dove possa correre, come un bambino di due anni e mezzo normale ;)
Spero di essere stata più chiara adesso.
Che bel post, Claudia. Guarda, penso che nella vita ci siano coincidenze strane: volevo rileggere alcune cose di Sabine e ti trovo qui, proprio mentre stavo riflettendo sul perché, nonostante mi diverta leggere e commentare su alcuni blog (tre di numero), non vorrei mai aprirne uno mio. Spero nessuno si offenda se dico che è’ un modo per sentirsi protagonisti, attori, e a me non è’ mai piaciuto stare alla ribalta. Ripeto, non è’ un ‘ offesa per chi ha un blog, anzi, penso che la libertà di poter fare quello che si vuole sia fondamentale, e Internet in questo e’ fantastica! Meno fantastico il cellulare, quando ti impongono ( tu non vorresti, ma devi) di rispondere sempre. Altrimenti non assolvi bene il tuo dovere ( leggi : non ti pieghi allo schiavismo, ormai preteso in molti ambiti lavorativi ) . Tornando al tema della libertà, se qui in Italia per motivi che mi sono oscuri il cellulare e’ abusatissimo ( e però quando non c’ era dovevi stare alla scrivania ad aspettare una telefonata, oggi te ne puoi andare a fare una passeggiata), internet secondo me ha preso una piega davvero negativa in alcuni suoi aspetti . Per esempio, i blog potrebbero esser utili strumenti per chiacchierare, in un mondo in cui è’ sempre più difficile spostarsi, e invece, l’ attore / attrice dice qualcosa, ma non interscambia con chi scrive, e così diventa tutto molto sterile. Facebook per me e’ stato un delirio, per seguito bene avrei dovuto usare un sacco di tempo e…chi me lo fa fare? Insomm! Tutte queste mie deliranti riflessioni per dire che secondo me strumenti che bene usati potrebbero aiutarci a comunicare meglio tra noi sono diventati un ‘ arma assoluta di incomunicabilità . Ecco, perché non apriamo un blog di chiacchiere libere? ( però poi bisogna dar retta a chi scrive, altrimenti anche quello sarà un esperimento sterile) . Spero di non essere fuori tema.
Scusate se intervengo troppo, ma mi intriga troppo questo tema e Sabine può sempre tagliarmi ! @ Claudia per rispondere a un tuo precedente intervento sulle donne che chiacchierano sul ballatoio o dal parrucchiere: ho passato la mia infanzia in un piccolo paese e mi piaceva moltissimo questa dimensione delle chiacchiere fra donne ( quando non sfociavano nel pettegolezzo cattivo )! Finita la scuola ( il lavoro per gli adulti ) ci si ritrovava in cortile/ballatoio/giardino/piazza a chiacchierare, giocare, scambiarsi opinioni. Il mondo virtuale potrebbe avere la sua funzione in questo senso, e quella di avere informazioni attendibili (per esempio scientifiche) in modo più facile. Mi sembra che quello che denunci tu sia invece un modo nevrotico di utilizzo, ma se uno e’ nevrotico lasciamo lo fare meglio che smanettavo continuamente stia collegato 24 h legga compulsiva mente sms che che so …faccia una scenata alla segretaria. Fatti suoi. A me piacerebbe invece trovare persone che usano in modo appropriato la rete per comunicare ( e voi lo siete, of corse) quindi partiamo da noi, gli altri al loro destino, che ce frega? Io ho trovato un modo fantastico per placcare quelli che mi assordano con le loro conversazioni telefoniche: interferisco. Gli / le parlo come se stessero comunicando con me . Ti giuro che si destabilizzano e smettono.
Ahahaha, Graziella! Sai che hai ragione? Devo trovare il coraggio di farlo anch’io!!
A me capita quando sono al telefono con qualche amica e lei interrompe la conversazione per parlare con suo/a figlia piccola, cosa che non sopporto: la prima regola, a casa mia, era che non si potevano interrompere gli adulti mentre parlavano tra di loro. Certo, mia madre avra’ fatto una telefonata ogni tre giorni, e per meno di tre minuti, di solito, quando io ero in casa. Ho imparato da lei a riservare le chiacchiere con le amiche (dal vero o virtuali) ai momenti in cui mia figlia e’ a scuola, o impegnata a giocare altrove. Anche perche’ non trovo giusto che mia figlia sia costretta ad ascoltare i miei problemi o argomenti di conversazione da adulti. E’ inutile che ci preoccupiamo di leggere le fiabe adatte alla loro eta’ e poi parliamo di cose molto piu’ stressanti davanti a loro in continuazione. Io di solito o continuo a parlare o chiedo “Scusa, non ho capito cosa hai detto? Puoi ripetere?” Se proprio mi lascia li’ ad aspettare per troppo tempo, chissa’ come, cade sempre la linea…
PS: Ma tutte queste madri/padri sempre connessi e attaccati ad internet, che effetto hanno sui loro figli? Siamo sempre con loro, fisicamente, anche troppo, in confronto a 50 anni fa, ma non siamo mai con loro al 100%. Non son mica scemi: lo capiscono, lo sentono di pancia, quando siamo completamente con loro, anche solo un pomeriggio alla settimana, e stacchiamo tutto ma davvero tutto quello che ci collega al resto del mondo.
Non rispondere al telefono mentre si gioca con un bambino non ha prezzo, per lui e per la sua autostima. Provare per credere. ;-)
Molto d’accordo con quello che dici. Pero’ io negli ultimi anni sto recuperando di nuovo la dimensione da “pianerottolo”, le chiacchiere e le confidenze guardate negli occhi. Meno frequenti di quelle in fb, chiaro, ma molto piu’ gratificanti. Non che una cosa escluda l’altra, ma mi sento un po’ come mia figlia: se deve scegliere tra un cartone animato e giocare con dei bambini “veri”, non ha dubbi. Certo, se poi un giorno piove, e’ da sola o per qualche motivo non puo’ uscire, va bene anche lo schermo ;-)
Secondo me hai perfettamente ragione, Claudia. I bambini devono vivere da bambini, non immersi nei problemi degli adulti. A casa mia era così, e ho un ricordo bellissimo della mia infanzia protetta. Anche mia figlia, con la quale mi sono relazionata nello stesso modo. Oggi sento bambini che disquisiscono del conto in banca dei loro genitori, di quanto pagano di mutuo, persino di eredità contese (???). Allucinante, mi vengono i brividi ogni volta. Per il resto (commistione tempo per figlia -lavoro ) sono colpevolissima! Avendo scelto di lavorare da casa ( e meno male che ho potuto! ) per quanti paletti abbia cercato di mettere, le due cose spesso si mischiavano. Ma i bambini capiscono più di quello che pensiamo. Avevo spiegato alla piccola che il lavoro della mamma serviva per comprarle la pappa buona. Per un certo periodo ogni volta che mi chiamava il caporedattore lei correva tipo trottola per casa urlano gioiosa : pappa buona, pappa buona! Avevo creato un mostro! Però è sempre stata una bambina seren e felice.
P.S. Scusate gli errori, ma sono costretta scrivere con l IPad che Uto corregge alcune cose senza che me ne accorga.
Molto interessante ed istruttivo quello che racconti di tua figlia Claudia :-)
Penso che dobbiamo senz’altro andare con i tempi, ma certi aspetti sono validi e insostituibili in ogni tempo; le capacità fisiche e la padronanza del corpo per esempio… fate la prova di stare fermi su una gamba, liberi, senza sostegno (tutti…grandi e piccini)… tanto per rendersi conti come è messo il *senso dell’equilibrio*.
Ehh, Marcella, cara collega e amica di visioni… Grazie per il tuo prezioso commento e gli input utilissimi; mi tocca ordinare altri libri!
La Pinkola Estés è senz’altro la mia preferita… chi legge qui per caso e non la conosce ancora è invitato a recuperare; una geniale insegnate, i suoi libri risuonano per decenni nell’anima… una sorta di cura a dose continua :-)
@marco el nones… hai lasciato un tuo indirizzo web non valido; errore? distrazione? –
La giusta misura temo sia difficile da definire, credo che in questo caso sia un dato comunque del tutto personale.
Se si riesce stare tranquillamente 1 settimana “senza (Tv e cellulare incluso)” direi che è probabile di non essere dei dipendenti.
ciao Singlemama, mi sono fatto l’idea che conta anche quando si è nati. Ho visto la luce nei mitici anni ’50 e sono cresciuta a piedi nudi dietro casa… il primo computer l’ho preso dopo i 50 anni… e devo dire che me lo gusto soprattutto per le amicizie; ma sono rimasta classica, non scrivo le mail (quelle belle; alias cartolina, lettera) a tutte le mie amiche insieme… ma una per volta. La misura è rimasta quella in carne e ossa. Grazie per le tue riflessioni… :-)
Ah… mia madre ha preso il primo pc a 75 anni… per lei si è rivelata una genialata! scrive ogni giorno, fa foto… e si sente giovane! Quest’anno compie gli 80 ed è più simpatica che a 70. Mia sorella, mia nipote ed io la impegniamo regolarmente con vari link “anti-sclerosi”…
@Graziella Zucca, sono d’accordo su molti punti… soprattutto il poco rispetto del silenzio “potenziale” in certi luoghi (ristorante, treno, spiaggia). I cellulari sono quasi ovunque protagonisti, peggio delle vespe sulla birra.
Il fatto che chi scrive debba avere una “vena da protagonista” potrebbe essere in parte vera… ma credo bisogna differenziare, anche perché l’impegno è notevole(almeno per me). Questo blog nasce dal preciso desiderio di seminare le mie esperienze faticosamente acquisite in tanti anni (ogni donna è potenziale insegnate). Un pò come scrivere un libro… ma più interattivo. Infatti i vostri commenti sono per me come il “sale della bruschetta”; danno sapore e gusto agli scritti :-)
ciao Graziella Carnevali, i tuoi commenti sono sempre stimolanti…(ti leggo spesso sul pastonudo di izn) e mi ricordano allegre e sentite chiacchiere sul pianerottolo. Ben vengano! :-)
Cara Sabine, mi rendo conto di non essermi spiegata bene in questo primo commento. Io non parlavo affatto di blog come il tuo o, per fare un altro esempio, quello del Pasto Nudo, e molti altri, cui dovrebbero conferire il titolo di “blog utili per l’umanità” (non sto scherzando, davvero), e farli proteggere dall’ Unesco, perchè voi avete cose utili, anzi utilissime da comunicare, frutto di studio e dedizione, e grazie che lo fate con uno strumento che può arrivare ovunque. No. Io parlavo delle storture che ci sono in rete, di blog nati per autocelebrare se stessi/e con nessun altro fine se non di fare entrare in casa propria degli estranei. E, anche qui, nessun giudizio da parte mia, solo un’analisi (magari sbagliata) e, naturalmente, la libertà di starne alla larga.
Quanto al voler essere protagonisti, guarda, in realtà era una critica a me stessa, a quel modo di essere donna che non si vuole esporre, ma qui entriamo in un altro capitolo (ho letto il libro il Complesso di Cernerentola, e spesso lo rileggo, si vede, eh?).
Graziella Zucca sono sempre io, solo con l’altro mio cognome, pardon.
Oggi ho trovato “per caso” questa interessante riflessione sulla rete. Articolo del 1997… !
Merita assolutamente; http://networkedblogs.com/KTtCs :-)